UMBERTO ECO, Bompiani, 1981

Il nome della rosa

Nel 1981 Eco, conosciuto sinora come medievista, semiologo, studioso delle forme più disparate di comunicazione letteraria, ivi compreso il fumetto, esordiva con un romanzo storico di grande impegno intellettuale e letterario, “Il nome della rosa”. Il romanzo, a tanti anni dal suo inaspettato e clamoroso successo, è entrato ormai nelle antologie scolastiche, con conseguente corredo di note e analisi del testo, Eco ha proibito ai familiari di autorizzare e promuovere per dieci anni convegni, seminari, conferenze su di lui: un momento di ripensamento critico dunque, nel quale può essere utile cominciare a pensare a quest’opera “soltanto” come a un romanzo.
Alla mia analisi appare come un capolavoro costruito a tavolino con una mostruosa consapevolezza critica, di cui sono testimonianza le “Postille a Il nome della rosa”, che aprono l’officina dell’autore e valgono almeno quanto il romanzo.
La trama ruota intorno a una serie di delitti in un’abbazia dell’Italia settentrionale legati al libro perduto sul riso della “Poetica” di Aristotele, di cui nella biblioteca è conservata l’unica copia circolante. Riassumerla in dettaglio sarebbe arduo, visto l’intrico continuo di svolgimenti collaterali e questioni intellettuali e superfluo per i molti che la conoscono, anche attraverso il film di Annaud.
L’ambientazione storica è accuratissima sul piano degli eventi, delle idee e della descrizione della vita materiale. Eco non ha tralasciato nessun dettaglio che consenta al lettore una piena immersione in un Alto Medioevo sfaccettato e poliedrico. Il clima di un’abbazia benedettina dell’epoca, al contempo centro culturale e azienda economica gestita con grande efficienza, è reso con colori vividi. L’armatura concettuale è appassionante, la tensione dialettica sull’onnipotenza di Dio e sulla comune radice di santità e peccato, sui limiti della ragione, sul pauperismo nella Chiesa, sul potere eversivo del riso, rivela il grande conoscitore di filosofia medioevale e l’uomo che riflette con cognizione di causa sul cristianesimo e il suo significato. Filosofi e teologi hanno discusso e in alcuni casi criticato la visione filosofica del protagonista Guglielmo di Baskerville, che deformerebbe la già ardita filosofia di Guglielmo di Ockham al quale è palesemente ispirato (il saggio di Guido Sommavilla S.J., su “La Civiltà Cattolica” del 19/9/1981, L’allegro nominalismo nichilistico di Umberto Eco è un’acuminata stroncatura sul piano teologico, accolto non senza comprensione da parte dello stesso avveduto autore). Ma è normale che un romanzo storico sia un’interpretazione storica e questa è di notevole livello e rappresenta una di quelle possibili. Piuttosto il film che ne è stato tratto da Annaud calca molto i toni, in alcune modifiche della trama, e persino nella fotografia e nella scelta dei volti degli attori, sull’immagine di un Medioevo cupo, pauroso, monolitico e di una Chiesa esclusivamente “di classe” e nemica del pensiero.
Qualche problema, a mio parere, e non di poco conto, il romanzo lo suscita sul piano più propriamente narrativo.
Le profonde tematiche citate sembrano elementi di un grandioso saggio filosofico a tesi, costruito poi, letterariamente, con la tecnica del romanzo poliziesco che tiene desto l’interesse del lettore. E infatti il successo trasversale del romanzo negli ambienti più diversi testimonia la capacità di attrarre lettori diversi ma con mezzi diversi.
La serrata concatenazione logica dell’indagine e i colpi di scena soddisfano il lettore che magari sonnecchia sulle tante pagine di filosofia e teologia, che invece interessano e coinvolgono molto, ne condivida o no le tesi, il lettore attento al pensiero medioevale e alla storia della chiesa o addirittura lo storico. I personaggi però mancano di carne e sangue, sollecitano l’intelligenza, non il cuore, la coscienza e lo spirito del lettore. Leggete la descrizione della paura di Adso, il novizio allievo di Frate Guglielmo che lo segue nell’indagine come un moderno Watson, dinanzi alle forme mostruose del portale dell’abbazia o il sogno di Adso, modellato sulla “Coena Cipriani”: pagine che dovrebbero far rivivere emozioni ma che mi sono apparse sempre di grande virtuosismo e mi hanno sempre lasciato sostanzialmente freddo.
Eco sa troppo bene quello che vuole, quale obiettivo vuole raggiungere e come e i suoi personaggi, tranne in parte Guglielmo, sembrano non vivere di vita propria, risultano alla fine troppo schematicamente funzionali all’idea, complessa e critica verso la dottrina cristiana, che l’autore vuol far passare e privi anche di quella sinistra grandezza che viene dalle passioni estreme e unilaterali perché, come nel caso del vecchio monaco fanatico Jorge, elaborano troppo e razionalizzano troppo.
La vasta e ben assimilata cultura in questo caso induce il lettore ad accettare l’idea attraverso il meccanismo narrativo ma le smagliature si notano proprio nel sistema dei personaggi, che sembra non reggere l’imponente struttura del romanzo.
Insomma, l’ho letto due volte e credo che mi capiterà di riprenderlo in mano perché alcuni temi filosofici e teologici sono svolti in maniera lucida e appassionante ma appunto lo riprendo in mano principalmente come un “saggio narrativo”. Per la concezione che ho della letteratura, è uno di quei libri che si possono ammirare, non amare.

L'Autore

Umberto Eco, nato ad Alessandria nel 1932 e morto a Milano nel 2016, è stato un poliedrico intellettuale italiano: storico della filosofia, accademico, semiologo, pubblicista, traduttore, bibliofilo, narratore. La sua opera ha spaziato in vari campi e in vari generi, dal saggio accademico, all’articolo giornalistico, alla raccolta di scritti vari, concepiti con intenzioni diverse e destinatari diversi. Ci limiteremo a delineare il profilo dello studioso di letteratura e dello scrittore. Numerose sono le sue opere dedicate alla teoria della letteratura e della narrazione: Il superuomo di massa (1976), Lector in fabula (1979), Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994), Sulla letteratura (2002), Dire quasi la stessa cosa (2003, sulla traduzione), come tante sono le sue letture semiotiche applicate ad autori di diverse epoche, non ultimo un “classico” come Manzoni. È stato inoltre precursore e divulgatore dell’applicazione della tecnologia alla scrittura. Nel 1980 Eco esordì nella narrativa con Il nome della rosa, che riscontrò un enorme successo sia presso la critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best-seller internazionale tradotto in 47 lingue e venduto in trenta milioni di copie. Nel 1988 pubblicò il suo secondo romanzo, Il pendolo di Foucault, satira dell’interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari della storia e delle sindromi del complottoRomanzi successivi sono L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana(2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015), tutti editi in italiano da Bompiani.