MARGUERITE YOURCENAR, Einaudi, 1981

Memorie di Adriano

Una voce. Una voce che si racconta, con i suoi tempi, le sue pause, le sue reticenze (“mi sono accorta che a volte mentiva e l’ho lasciato mentire”). Una voce che inizia dal momento della fragilità sulla strada della morte ed effonde considerazioni sulla vita, sul tempo, sul cibo, sul sonno e poi prende sempre più respiro e abbraccia tutta una vita: la giovinezza, la carriera, il potere; la ricerca del potere, il senso del potere e poi il suo raggiungimento; il governo, l’impero vasto e ordinato, l’amore per Antinoo, la ricerca del divino, lo scivolamento verso la morte “ad occhi aperti”.
La Yourcenar ha compiuto un’immane opera di lenta immedesimazione in un uomo e in un’epoca “con un piede nell’erudizione e l’altro nella magia”, come dice nei preziosi Carnets de Notes inseriti nelle edizioni successive in calce al romanzo. Continue riscritture e una meticolosa consultazione degli autori greci e latini, una catalogazione minuziosa dell’iconografia di tutti i personaggi hanno accompagnato la lenta stesura di un’opera che ha una sua fisionomia inconfondibile di genere.
È un romanzo storico questo? Si certo, se consideriamo l’epoca, ma non è un romanzo che voglia rievocare descrittivamente il passato, un uomo o una civiltà. La Yourcenar si appropria di una storia umana, la rivive dall’interno, si situa in quell’epoca, se ne impadronisce e ci restituisce una voce narrante di inconsueta ricchezza che spazia tra il tempo contingente in cui prese corpo e vita e gli eterni problemi e interrogativi della condizione umana. Del resto lei stessa ha affermato, sempre nei “Carnets de Notes”, che “ai tempi nostri, il romanzo storico o quello che per comodità si vuol chiamare così, non può essere che immerso in un tempo ritrovato: la presa di possesso di un mondo interiore”.
Classico nella forma, inquieto e mobilissimo nelle corde interiori che fa risuonare, questo romanzo resta un personalissimo capolavoro, frutto di una ventennale dedizione a una voce ascoltata anzitutto dentro se stessa e poi fatta sgorgare dall’interno della personalità di Adriano imperatore.
La forma classica nell’impianto e nello stile, modellato pazientemente sulle opere che Adriano doveva o poteva aver letto, l’apparente facilità, frutto di una consumata perizia letteraria, non ingannino e confondano il lettore: dentro c’è un fuoco che ha preso esca dal tormentato XX secolo che l’autrice ha vissuto da giovane proprio nei decenni cruciali dell’affermazione e della deflagrazione dei totalitarismi. Il potere, il rapporto tra uomo e potere, ora brutale ora idealizzato, ha in questo romanzo un posto centrale, anche se tra le innumerevoli suggestioni della personalità di Adriano, si fatica a identificarlo. “Volevo il potere. Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso prima di morire”.
L’Adriano che la Yourcenar delinea è l’uomo di governo che con pazienza e attenzione cerca di governare le sue passioni e nel contempo l’impero, riallacciando e ricostruendo un tessuto di vita civile, riorganizzando le leggi, disciplinando l’esercito, facendo costruire strade e acquedotti, teatri e biblioteche. C’è in lui una tenace ricerca di “un buon governo” che storni le energie dalla distruzione e dal protagonismo ambizioso e le faccia rifluire sulla intera comunità imperiale.
L’Adriano della Yourcenar lotta continuamente con se stesso per dare a questo potere desiderato e amato, anche in maniera torbida e dispotica, un senso: come un artista, vorrebbe imprimere la sua forma alla vita civile. “Volevo che l’immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto… A questo ideale, in fin dei conti modesto, ci si avvicinerebbe abbastanza spesso se gli uomini vi applicassero una parte di quell’energia che van dissipando in opere stupide o feroci”.
Libro di culto, “di moda” (per quanto possa esserlo un libro così colto ed esclusivo), quindi inevitabilmente deformato dal suo stesso successo e bersaglio preferito di chi lo considera il simbolo di un classicismo elegante e accattivante ma in fondo frigido, questo romanzo va spogliato della sua aura mitica e valutato “solo” come un romanzo: nel rapporto tra i fini e i mezzi, tra le domande e le inquietudini che esprime e le strutture narrative nelle quali tali domande e inquietudini si incarnano, nella forza e nella consistenza del personaggio narrante, nel linguaggio che adotta.
Ridotto l’impatto in questi termini,” Memorie di Adriano” spero apparirà, come appare a me, un grande romanzo del Novecento europeo, segnato dalle vicende della prima metà di questo secolo, erede della tradizione umanistica che ha costituito l’Occidente e della sua secolare attitudine: rileggere incessantemente il passato “classico” per ritrovare, con un continuo e sottile gioco di proiezioni e trasposizioni, se stessi.

L'Autore

Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour (Bruxelles, 8 giugno 1903 – Mount Desert, 17 dicembre 1987), è stata una scrittrice francese, prima donna eletta all’Académie française. Instancabile e sensibile viaggiatrice nell’Europa degli anni trenta sino ai suoi ultimi decenni di vita, la Yourcenar si trasferì prima della seconda guerra mondiale negli stati Uniti, nel Maine, con Grace Frick, la compagna di una vita che fu anche la traduttrice in inglese dei suoi libri. La sua opera nasce da un complesso incontro tra suggestioni storiche ed esplorazione dei lati anche oscuri dell’individualità ma trasposti sempre in forme letterarie di forte impronta riflessiva e colta. I suoi capolavori nell’ambito del romanzo sono “Memorie di Adriano” del 1951, e “L’opera al nero”, del 1968. Notevoli anche i saggi raccolti nei volumi “Il tempo, grande scultore” e “Con beneficio d’inventario”, che spaziano dal mondo classico ad autori contemporanei come Kavafis e Mann. Negli ultimi anni si è dedicata alla stesura di una vasta narrazione autobiografica, più che autobiografia in senso stretto, in tre volumi, di cui l’ultimo rimasto incompiuto, dal titolo complessivo “Il labirinto del mondo”: appunto, l’esplorazione della complessità umana, anche attraverso una sola vita. Un bel ritratto della sua personalità umana e letteraria è nel libro-intervista “Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey”, edito in Italia da Bompiani nel 1982 e più volte in seguito ristampato.