LEONARDO SCIASCIA, Leonardo da Vinci editore, 1965

Feste religiose in Sicilia

In questa settimana, “santa” secondo la Chiesa cattolica, credo valga la pena di riflettere sul senso religioso popolare e di riprendere in mano (ma non è facile perché oggi è introvabile) questo libro che nasce dalla collaborazione tra uno scrittore laico e un fotografo.
Si tratta di un libro particolare nel quale il saggio di Sciascia respira all’unisono con lo splendido corredo fotografico di Fernando Scianna, con i brani di studiosi e viaggiatori che illustrano le foto e con le brevi note finali di commento alle immagini. L’analisi di Sciascia, colta e appassionata, cerca l’anima siciliana nella religiosità popolare e giunge a conclusioni penetranti anche se forse, nella loro desolazione, non da generalizzare. In queste feste trova un mondo arcaico e disincantato, segnato da secoli di sopruso e di rassegnazione, una religiosità che cristallizza il dolore umano, i rapporti di forza sociali, refrattaria al mistero, alla trascendenza, alla metafisica. Ed è sui riti della settimana santa che Sciascia scrive le sue pagine forse più vere, intrise anche di una sottile pietas per la sofferenza antica di questo popolo:
“Ma è davvero il dramma del figlio di Dio fatto uomo che rivive, nei paesi siciliani, il venerdì Santo? O non è invece il dramma dell’uomo, semplicemente uomo, tradito dal suo vicino, assassinato dalla legge? O, in definitiva, non è nemmeno questo, ed è soltanto il dramma di una madre, il dramma dell’Addolorata?…Il vero dramma è suo: terreno, carnale. Non il dramma, dunque, del divino sacrificio e dell’umana redenzione; ma quello del male di vivere, dell’oscuro, viscerale sgomento di fronte alla morte, del chiuso e perenne lutto dei viventi”.
Con le foto di Scianna il lettore poi s’immerge totalmente in questo mondo. In un bianco e nero scultoreo che fotografa volti scavati dalla fatica, momenti intensi e particolari inquietanti, Scianna fa sentire quello che Sciascia dice. Non cerca la bella inquadratura ma a volte la “costruisce”, per cogliere il momento di più intensa emozione della scena e fotografa anche dal basso e di scorcio, rendendo l’immagine anche mossa o sfocata. A volte sembrano quadri dell’inquieta sensibilità pittorica fiamminga. Soprattutto i volti dei bambini non si dimenticano facilmente.
Un mondo antico che sembra immobile e che pure esprime in queste feste, come lo stesso Sciascia rileva nel saggio, il suo desiderio di uscire dalla condizione di solitudine dell’uomo siciliano per riconoscersi in una dimensione collettiva. Un tentativo, spesso soltanto un tentativo.
Forse questa tradizione, che esprime il vissuto secolare di un popolo, potrebbe, senza stravolgersi, aprirsi alla speranza, con l’evoluzione di una Chiesa che diventi meno prona ai poteri costituiti, alle dinamiche di potere insite nella società, più severa nel vigilare sul culto dei santi e sull’organizzazione delle feste locali. Insomma basterebbe seguire alla lettera e integrare con sano buon senso le indicazioni della Costituzione del Concilio Vaticano II Sacrosanctum concilium (1963!), interamente dedicata alla liturgia e con incisivi paragrafi sulle feste religiose e sul culto dei santi.
E c’è, inoltre, il capitolo doloroso, sotteso indubbiamente alle riflessioni di Sciascia, delle infiltrazioni mafiose (e poi camorristiche) nelle feste locali e patronali sul quale bisogna dire che la Chiesa è da anni sempre più attenta e sembra che con questo pontificato la vigilanza sia diventata ancora più intransigente. Perché appunto la tradizione religiosa popolare, soprattutto nella settimana santa, non sia una sterile rappresentazione corale del martirio del giusto e il canto che si ripete in molte chiese il venerdì santo, “Santa Madre deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore” non sia la sterile proclamazione della mortificazione individuale impermeabile al valore redentivo collettivo del sacrificio di Gesù.
Purtroppo c’è da temere però che questa tradizione rischi soltanto di essere definitivamente travolta e distrutta (e qui il pensiero va a Pasolini e alle sue analisi), con tutta la sua dolente umanità e la sua sofferta ricerca di un riscatto, dalla desacralizzazione della società dei consumi, il nuovo potere che annulla o appiattisce le domande e non ci rende necessariamente più liberi.

L'Autore

Leonardo Sciascia. Scrittore italiano (Racalmuto 1921-Palermo 1989).
Prima impiegato all’ufficio dell’ammmasso del grano poi maestro elementare, Sciascia esordisce definitivamente sulla scena letteraria nel 1956 con Le parrocchie di Regalpetra, opera che rielaborava le cronache scolastiche pubblicate dall’anno precedente sulla rivista Nuovi argomenti . Seguono poi a ritmo incessante numerose opere tra le quali, dovendo delineare qualche percorso significativo, ricordiamo: Il giorno della civetta (1961), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971), Todo modo (1974), romanzi di graffiante analisi politica, e La strega e il capitano (1986), 1912+1 (1986), Porte aperte (1987), sorta di romanzi storici con caratterizzazione giudiziaria. La riflessione sui meccanismi della giustizia fu infatti molto cara a Sciascia, sulle tracce dell’amato Manzoni della Storia della colonna infame. Al romanzo politico torna con Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (1989), un’asciutta storia di ordinari intrighi italiani, terminata ma pubblicata pochi mesi dopo la sua morte. Notevoli anche, tra le raccolte di saggi, molti dei quali dedicati a “cose di Sicilia”, La corda pazza (1970), Cruciverba (1983) e Alfabeto pirandelliano (1989), dedicato all’autore che, insieme a Manzoni, fu, nella letteratura italiana, forse il suo più costante punto di riferimento.